martedì 4 novembre 2014

Da Ivan lo Stupido: due parole su Samuel e due sul suo romanzo…

Due parole su Samuel…
Se soltanto poteste immaginare quante volte gliel’ho ripetuto: «Samuel, hai una predisposizione naturale per la scrittura!». Fino alla nausea, la mia almeno, ve la posso garantire.
Lui, invece, continuava a sentire in bocca uno squisito sapore di menta... (è un instancabile divoratore di caramelle). «Perché mai? - rispondeva con il suo italiano strascicato da gentiluomo gallese. - Questi sono soltanto i miei appunti, i miei ricordi. Lo sai, Ivan, ho giurato a me stesso di non apparire, di salvaguardare la privacy...».
E pronunciava privacy come se stesse ripetendo il codice segreto per spalancare il cancello d’ingresso del Paradiso Terrestre.
Fatto sta che, da tempo, si impegnava a colmare uno schedario con il resoconto di eventi insoliti legati alla sua famiglia, di esperimenti del circolo esoterico di cui facevano parte i genitori e nei quali è stato ammesso fin troppo giovane. Altri faldoni contenevano i suoi pensieri, racconti, descrizioni degli incontri pazzeschi che aveva avuto con entità sconosciute, cronache degli strani fenomeni dei quali era stato testimone.
Scriveva e ha continuato a scrivere.
Ha persino impresso nero su bianco la sua personale interpretazione della scomparsa dei nonni, salpati da Southampton a bordo dello yacht Alpha et Omega e mai più rintracciati.

L'altro grande amore al quale ha pubblicamente rinunciato è la musica. Quando vuole ritrovare un profondo e autentico contatto con se stesso non scrive, suona. Ma da solo, senza testimoni.
Comunque, la musica non è il suo vero veicolo d’espressione. O almeno non lo è secondo me, che lo conosco da quando portavamo i calzoni corti.
La musica è dentro di lui, è il lago calmo nel quale fare ritorno quando il rumore fuori si fa assordante. Ma la scrittura è il suo traghetto, può andare in ogni direzione e imbarcare chiunque voglia salire per essere protagonista o testimone delle più fantastiche avventure.
Personaggi compresi. Lettori compresi.
I primi salpano da protagonisti. Per i secondi sarebbe stato impossibile non essere partecipi, se soltanto Samuel avesse deciso di collaborare…


Nella casa in pietra
Mi rendo conto, però, che non vi sto raccontando nulla della svolta o meglio del “turpe inganno”, per usare la sua definizione.
L’estate, quest’anno, è stata terribilmente prodiga di piogge indesiderate. Oltretutto ci trovavamo in una delle zone più idonee per non uscire di casa: la Val d’Intelvi.
L’acqua scrosciava ininterrottamente da ore, il camino era acceso, ma l’umidità stravinceva la sua battaglia con il fuoco.
Per evitare che il fantasma di un contrabbandiere del secolo scorso facesse il suo ingresso nel salotto immerso nella semioscurità, evocato da qualche debolezza psichica del mio amico, sono passato all’attacco e ho riempito l’aria con le mie proposte, sperando che una voce alta tenesse alla larga i visitatori indesiderati.
«Dovresti vergognarti, Samuel. O, almeno, dovresti cedere ai desideri del Cosmo. E se neanche del Cosmo te ne frega, fallo per me. Sono editor da una vita e ogni benedetto giorno mi tocca di leggere… va bene, lasciamo perdere. Però… nulla ti può impedire di usare uno pseudonimo. Potrei essere il tuo intermediario e dotarmi anch’io di un nome fittizio. Potremmo addirittura pensare alla pubblicazione tramite canali che garantiscano l’anonimato assoluto...».
«Non ricominciare, Ivan - ha bofonchiato. - Non mi interessa».
Chiacchiere davanti al fuoco«Magari, però, interessa a qualcuno. Leggere i tuoi libri, intendo».
«Li faccio sempre leggere a te. Tutti».
«È un vero onore! Soprattutto perché si direbbe che sulla faccia della terra non credi che nessun altro lo meriti. Hai mai pensato che al di là di questi muri di pietra ci sono altre migliaia di persone che meritano, che non hanno mai avuto le tue esperienze o che, anche se le hanno avute, non riescono nemmeno a crederci? Gente che teme di aver avuto un’allucinazione, gente che non sa neppure che cosa pensare di certi fatti strani e rintana i frammenti di ricordi in quel contenitore che pensa inaccessibile e che chiama oblio…».
«Bella frase, Ivan. Dovresti scriverla».
«Io non scrivo, leggo. Poi piango sulla tomba della fantasia».
«Anche questa non è male!».
«Uno, non di più. Non ti chiedo tanto. E come firma ci mettiamo Gatto Silvestro...».
«Perché no?».
In quel preciso istante, le due parole pronunciate a bassa voce si sono trasformate nella solennità di un battesimo: la medesima risposta con la quale Ivan lo Stupido (o secondo altre traduzioni Ivan lo Scemo) di Tolstoj risolveva i dilemmi più intricati.
Così, contemporaneamente, io sono diventato Ivan lo Stupido e Samuel J. Jordan un autore.
E che autore, lo vedrete tra un paio di settimane.

E due sul romanzo…
Per iniziare voglio farvi una domanda: che cosa fareste se il soprannaturale invadesse la vostra esistenza e minacciasse la vostra stessa vita?
Pensateci bene, perché è questo l’interrogativo a cui devono rispondere gli otto ragazzi di Solstizio d’inferno, combattuti tra il razionale e l’irrazionale, proprio come ciascuno di noi. Proprio come me quando l'ho letto.
Trovandosi faccia a faccia con l’ignoto, ognuno di loro è obbligato a raccogliere la sfida: cambiare o morire.
Un cambiamento che si configura come morte simbolica, passaggio che non ammette ripensamenti. Qualcuno sceglierà di combattere, accettando l’inevitabile trasformazione. Qualcun altro soccomberà.
Ho detto troppo?
Non credo.

Alla prossima,

Ivan lo Stupido

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